Santa Cruz de la Sierra e La Paz
Arrivare in Sudamerica ti precipita inizialmente in uno stato di confusione tale che ti chiedi se il Sudamerica esista davvero. Poi, appena lasci i bagagli e scendi in strada, immediatamente ti accorgi che devi abbandonare a casa tutti i pensieri e farti avvolgere dai profumi, i colori, il traffico caotico, le bancarelle ovunque che vendono qualsiasi merce conosciuta e sconosciuta.
Arriviamo a Santa Cruz de la Sierra, ormai la città più grande della Bolivia (2 milioni di abitanti), nell’omonimo dipartimento al limite della foresta amazzonica. È estate, il caldo é umido fino all’inverosimile, ma si può camminare con piacere tra viuzze ingombre di merci, di semillas, di frutta multicolore. La prima visita (il taxi costa poco, quindi ne approfittiamo), sarà al sito pre-incaico di El fuerte, un magnifico insediamento occupato successivamente dagli Incas e poi dai conquistadores, che ne distrussero buona parte. A Samaipata ci fermiamo a mangiare qualcosa, così il taxista ci racconta vari aneddoti su Evo Morales, il primo presidente indio di tutta l’America Latina, di quello che fa per il popolo, di quanto resta ancora da fare. Parliamo degli Aymara, dei Quechua, ci chiede molte cose sull’Europa.
Un aereo il mattino dopo ci porta a La Paz, che ci lascia senza fiato dall’alto, ma é in basso che l’emozione che questa città riesce a trasmettere diviene quasi surreale.
Il nucleo centrale nasce all’interno di un canyon, ma nei secoli le popolazioni andine hanno iniziato ad abbandonare i loro villaggi e a popolare questo nucleo, così che la visione a cui assisti oggi sembra quella di un film futuristico ambientato in un’era improbabile. I due lati del canyon sono punteggiati di costruzioni a più piani, povere case ma non bidonville, che conservano bensì una loro dignità. Questo é El Alto, il mitico quartiere appollaiato sulla cima della montagna con le strade verticali, con una umanità andina che ti lascia senza parole tanto é vasta. Ecco perché la Bolivia riporta la dicitura: Stato Plurinazionale, per rispetto verso tutte le etnie che lo compongono.
Abitiamo nel quartiere di Sopochachi, vicino alle ambasciate e alle piazze più importanti, ma per via del solito soroche preferiamo non camminare eccessivamente prendendo i taxi. Definire confusione quel che vediamo a La Paz é un eufemismo: si guida senza regole, e le ore di punta sono una stratificazione di smog che ti leva il respiro, tra donne Quechua che vendono di tutto, bambini che corrono, sirene che suonano. Oggi abbiamo visitato il sito pre-incaico di Tiwanacu, molto bello e suggestivo, divincolandoci tra le macchine e i van che trasportano una umanità senza fine da El Alto all’altipiano, attraverso il nulla del deserto andino. Di sera mangiamo in un bellissimo locale femminista: Mujeres Creando.
Sucre, Potosi y Tupiza
Quando dal lago Titikaka arriviamo a Sucre, siamo ancora pieni della bellezza de La Isla del sol. Ma veniamo catturati ugualmente da questa bella città coloniale perfettamente conservata, con piazze alberate e strade ordinate, gente che passeggia e bei locali dove mangiare una empanada o del pollo fritto. È la capitale amministrativa della Bolivia, e vi risiedono il potere giudiziario e legislativo, mentre la sede del governo é a La Paz. Da Sucre partiamo verso le montagne che sovrastano la città, in direzione della cima di Chataquila. Da qui un bellissimo trekking ci porta verso il basso e la comunità di indios di Maragua.
Per raggiungerla precorriamo un emozionante sentiero inca, con alcune parti ancora integre. La storia racconta che qui trovò la morte Tomas Katari, eroe indio che fu il primo a presentare formale richiesta di restituzione delle proprie terre ancestrali ai conquistadores spagnoli. Questi più volte evitarono di giustiziare Katari per impedire un sollevamento indio, ma in seguito alla sua morte operata in maniera brutale (come brutale fu tutta la colonizzazione spagnola), con l’eroe indio che venne schiantato sulle rocce da un’altura mentre veniva portato a processo, il sollevamento avvenne ugualmente e per ben tre anni gli indios combatterono per la loro dignità. Vennero repressi in maniera altrettanto brutale, ma il fatto segnò l’inizio di numerose proteste e tumulti che diedero inizio al processo di decolonizzazione. Dopo Tomas Katari, ispirandosi a lui, anche Tupac Amaru II organizzò numerose rivolte assumendo il nome di Tupac Katari, ma anch’egli venne squartato in quattro pezzi nella pubblica piazza al centro di La Paz assieme a tutta la famiglia. Dal sentiero inca che mi é piaciuto ribattezzare “di Tomas Katari”, scendiamo notevolmente di quota fino ad arrivare alla comunità di Maragua, dove gli indios sono dediti alla tessitura e all’allevamento di lama. Il metodo di coltivazione é ancora quello inca, con canalette di raccolta dell’acqua in pietra e la rotazione colturale applicata in maniera scientifica.
É qui che la guida ci racconta della rivoluzione sociale del 1952, quando gli indios cacciarono i duenos, i padroni spagnoli, occupando le terre. Il pil della Bolivia cadde a picco in quanto gli indios non erano in grado di governare e mandare avanti quelle fattorie perché mancavano di formazione, oltre al fatto che la distruzione integrale dei macchinari impedì la pratica di un’agricoltura moderna. Ci vollero molti anni prima che la Bolivia potesse ripartire, ma é certo che la riforma agraria e i diritti dei campesinos sono sempre stati una costante della storia di tutto il Sudamerica.
Il giorno dopo arriviamo a Potosi, la città più alta del mondo, a 4100 metri sul livello del mare. Patrimonio mondiale Unesco, Potosi non ha tanto da offrire se non un bel centro storico in stile coloniale e il palazzo della zecca di stato, dove diverse simulazioni spiegano l’atroce destino che era riservato agli indios, che come veri e propri schiavi dovettero estrarre l’argento per la corona spagnola morendo a milioni (le miniere d’argento di Potosi erano tra le più fiorenti del mondo e la città arrivò a diventare la più grande del pianeta con oltre 200.000 abitanti.
Da Potosi arriviamo in pullman a Tupiza, ubicata ai piedi di una montagna multicolore. La città é famosa per essere il punto di partenza per le escursioni verso il salar de Uyuni, il lago salato più esteso del mondo. Alloggiamo all’hostal Butch Cassidy, che prende il nome dal bandito americano che trovó la morte da queste parti assieme al sodale Sundance Kid. L’hostal é gestito da persone gentilissime e cortesi, nonché molto disponibili.
Uyuni
El salar de Uyuni È la distesa salata pi˘ grande del mondo (10.582 kmq.), ad un’altezza di 3.650 metri sopra il livello del mare. Numerose isole sono ubicate dentro El salar, ma È dalla cima dell’Incahuasi che si gode della vista pi˘ spettacolare, con lo sguardo che si perde all’orizzonte e scompare nella distesa di bianco. Vi ascendiamo al terzo giorno di permanenza nel salar, dopo essere partiti da Tupiza ed aver attraversato 1.100 km di deserto, tra piste impossibili e sabbia alta fino alle ginocchia. Abbiamo dormito in luoghi spartani, spesso con servizi essenziali, a volte precari, ma se ami viaggiare e se ami il deserto devi saper resistere ed apprezzare il poco che ti viene offerto lasciando a casa le comodit‡ e le certezze. Da Tupiza saliamo di quota notevolmente, in una delle solite carreteras de la muerte, dove l’errore e l’imprecisione non sono contemplati. La prima meraviglia che si presenta ai nostri occhi È La ciudad de l’encanto, una serie di pinnacoli e gole simili ai castelli che da bambini realizzavamo in spiaggia, ma 1000 volte pi˘ grandi e plasmati dalla natura e dalle piogge. Siamo da subito senza parole. Dopo un almuerzo continuiamo verso Las lagunas, innumerevoli ed una pi˘ bella dell’altra: laguna blanca, laguna verde (pericolosamente piena di arsenico), laguna Honda sul fondo di una scarpata, il geyser Sol de manana, le Termas de Polques (delle sorgenti termali ideali per un bagno tra acque sulfuree alla temperatura di circa 30 gradi). Dopo una notte difficile in una comunit‡ in pieno deserto, il giorno dopo continuiamo a visitare le lagune, su tutte la laguna colorada, una meraviglia della natura. Tutte sono animate da migliaia di fenicotteri delle tre famiglie andine, che si lasciano avvicinare e fotografare. CosÏ, arriviamo di sera in un ospedaje dove riusciamo a fare una doccia calda. Il mattino dopo alle 4 la sveglia ci avverte della salita che dobbiamo affrontare per risalire l’Incahuasi, da dove vedremo il sole sorgere dal salar. L’imponenza e la bellezza della natura sono sconvolgenti, ed un bianco accecante ci ricorda quanto niente puÚ l’uomo dinanzi ad uno spettacolo del genere. Nel pomeriggio, dopo un almuerzo nel paese di Uyuni, un massacrante viaggio di 210 km attraverso un improbabile sterrato ci riporta a Tupiza, nel nostro Butch Cassidy. Il mattino dopo passeremo la frontiera ed entreremo in Argentina. Adius Bolivia, rimarrai per sempre nei nostri cuori, e con te l’onest· della gente, la simpatia e la cortesia di tutti, umili ma non poveri. Grazie Bolivia per tanta bellezza.
Norte de Argentina
Partiti da Tupiza con un rapidito, siamo arrivati a Villazon in Bolivia, ed abbiamo attraversato la frontiera con l’Argentina. Arrivati a Tilcara ci siamo ritrovati in un paesino attivissimo, pieno di musica e di colori. Ci serviva da base per esplorare la quebrada di Humahuaca, un meraviglioso canyon multicolore osservabile da un’altura a 4000 metri sopra il livello del mare. Ci arriviamo in fuoristrada con José ed altri argentini. Il giorno dopo in pulman, passando per Jujuy, arriviamo a Salta, una bella città del nord dall’Argentina di mezzo milione di abitanti. Da Salta proseguiamo in macchina attraversando la quebrada de las conchas e la garganta del diablo, fino ad arrivare a Cafayate, mitica località rinomata per il vino d’altura. Scopriamo tra questi vini un bianco portato anticamente dagli spagnoli ed estintosi nella penisola iberica, che in Argentina continua ad esser prodotto e piantato resistendo molto bene a quelle altezze: il torrontés. Da Cafayate ritroviamo la mitica RN40, la strada sterrata che attraversa nel nulla l’intera Argentina. Dopo averne percorso migliaia di km anni fa in Patagonia, la inforchiamo a nord per raggiungere Cachi, uno splendido paesino con molto verde e delle grandi piazze ornate di portici, dove facciamo sosta per mangiare una provoleta. Il nostro punto di arrivo é a Seclantas, alla finca Monte Nieva, dove la passione per la ricerca dei luoghi più insoliti da parte di Caterina ci porta a scoprire un paesaggio dal fascino incredibile e insolitamente poco frequentato: la cueva de Acsibi. (Il nome nell’antica lingua preincaica significa luogo della luce). Ci arriviamo con il suo scopritore, nonché proprietario della finca, che guida la camioneta sul letto di un fiume per 17 km, fino a proseguire a piedi per altri 5. Passiamo attraverso un mondo di forme incredibili, di colori variabili dal rosso al grigio, tra cardones e piccoli corsi d’acqua, in un paesaggio simile al pianeta Marte. Arriviamo alla cueva ebbri di visioni con il sole che filtra tra le rocce sfumando i contorni. Una meraviglia.
Torniamo il giorno dopo a Salta attraversando il bel Parque de los cardones.
Hasta luego Argentina